Addio Bobby, grazie di cuore…

19 Gennaio, 2015

L’universo rock è popolato da numerosi personaggi che per inesplicabili ragioni non sono mai riusciti a raggiungere la meritata consacrazione del grande pubblico. Sono rimasti umilmente al loro posto, noti perlopiù soltanto tra la categoria dei veri appassionati e tra quella degli addetti ai lavori (e spesso, le due, coincidono).

Niente standing ovation per loro; nessuno si strappa i capelli quando li vede salire sul palco o li rincorre per un autografo se li becca per strada; i più neanche li riconoscerebbero.

Photo of Mick JAGGER and ROLLING STONES and Bobby Keys and Mick TAYLORL’esempio più clamoroso è stato forse Johnnie Johnson, pianista di Chuck Berry (ma forse sarebbe più corretto dire: il pianista che suonava nella band insieme con la quale Berry ha inciso i suoi successi maggiori – si vocifera con insistenza, tra l’altro, che fu lui l’autore di molte canzoni poi accreditate a Berry); penso a Scotty Moore, vissuto inevitabilmente all’ombra di Elvis: fu soprattutto merito della sua tecnica chitarristica se ancora oggi molti brani di Presley vengono considerati come i primissimi esempi di rock’n’roll. La storia di Bobby Keys è per certi versi molto simile a quella delle due appena accennate e comune a quella di tanti altri grandi musicisti.

Bobby era un americano del Texas, nato, come Keith Richards, il 18 dicembre del 1943. Già dalla primissima adolescenza pare avesse come missione nella vita due cose: la musica e la musica suonata col suo sassofono.

Prima di finire nell’orbita degli Stones e prima ancora di compiere vent’anni, Bobby già prestava il suo talento all’icona dei fifties – sfortunatamente, tristemente e maledettamente scomparsa anzitempo a causa d’un incidente aereo – Buddy Holly.

Nel ‘61 lo troviamo in The Wanderer, successo dei Dion & Belmonts che fonde doo wop e rhythm’n’blues. L’anno dopo suona insieme a sua maestà Elvis Presley, nella hit Return to Sender.

Nello stile di Bobby sento senz’altro quello di King Curtis, uno degli indiscussi maestri dello strumento, con una spruzzata di Boots Randolph qua e là. Più in generale il suo sax del sud suona come suonava quello dei turnisti della Stax di Memphis, o della Motown di Detroit, se è quello il genere di soul che vi piace di più. Uomini che di giorno guidavano un taxi e che di notte andavano in studio di registrazione con Sam Cooke o Marvin Gaye, facendo sacrifici per amore della musica prima di tutto (…e per racimolare qualche dollaro extra poi, che comunque non guasta mai). Ci sono stato da quelle parti, e vi posso garantire che ancora oggi funziona così.

In parole povere, suona come SI DEVE SUONARE e chi ha orecchie per intendere, intenda!

bobby1Quando la band più americana d’Inghilterra decise d’avvalersi d’una sezione fiati per arricchire il proprio suond, fu naturale rivolgersi a lui. Bobby aveva mosso i suoi primi passi insieme al rock’n’roll primordiale, quello di Buddy Holly, quello di Elvis per l’appunto. E questo era un motivo di fascino e d’attrazione difficilmente descrivibili per uno come Keith Richards. Era un plus a tutti gli effetti. Il suo nome è quindi legato a doppia mandata a quello dei Rolling Stones. Live with me, nell’album Let It Bleed del 1969 inaugura un eccezionale sodalizio che è durato fino a pochi mesi fa. Nel mezzo 50 anni di musica, di folle passione, di eccessi, di capolavori e, in un’unica parola, di rock’n’roll! Se Exile on main St è considerato quasi all’unanimità il miglior disco rock di tutti i tempi, il merito è anche di Bobby Keys, che col suo tocco di classe ne impreziosisce i 9/10 dei brani che lo compongono. Ed ancora gli assoli in Brown Sugar, in Can’t you hear me knocking ed il suo fondamentale contributo on the road. Nel ‘73 fu cacciato via da Mick Jagger perché, tra un concerto e l’altro, una notte riempì la vasca da bagno di qualche albergo di Dom Perignon e vi s’immerse con una groupie. Erano giorni d’ordinaria follia, come quando lui e Keith fecero volare dal balcone la tv della stanza… Niente di male, quotidianità ai tempi, solo che fece arrivare il profumatissimo conto dello champagne su quello della band. Jagger fu irremovibile e Bobby fu licenziato, provocando un grosso dispiacere al suo compagno di musica&bagordi Keith Richards. Ci vollero degli anni per ricucire il rapporto che, grazie anche all’incessante mediazione diplomatica di Keith, potè finalmente ricominciare nel 1980.

Quando si pensa a Bobby, viene quindi spontanea l’associazione con gli Stones. Eppure, malgrado il collegamento sia illustre, sarebbe ingeneroso e riduttivo confinare la sua carriera nella cornice dell’importante collaborazione col gruppo di britannico.

Tra il ’69 e la fine degli anni 70, di certo il decennio più florido per la musica rock, troviamo Bobby Keys in quasi tutti gli album di successo, autentiche pietre miliari del genere presenti in ogni collezione degna di questo nome. Così suonò il sax negli album di John Lennon (ascoltate Whatever gets you through the night…), è presente nell’album eponimo di Eric Clapton – il suo primo da solista, nell’inarrivabile capolavoro dell’altro Beatle – George Harrison – All things must pass. Era al Filmore East di New York quella sera, con Joe Cocker e Leon Russell, che venne poi immortalata nell’album live del leone di Sheffield Mad Dogs & Englishman. Ed ancora con i Faces di Rod Stewart e Ron Wood, con BB King e Chuck Berry, con Dr John e Sheryl Crow, con Marvin Gaye e Harry Nilsson… la lista potrebbe durare ancora a lungo, ma mi fermo qui. Ce n’è già abbastanza – fuor dalla classica e fastidiosa retorica di circostanza –  per affermare serenamente che il due dicembre se n’è andata una stella luminosissima del firmamento rock’n’roll.

everynights-insert-REVISED-FIN_Page_10_Image_0001Sono molto dispiaciuto. Personalmente, ho trascorso molte più ore in compagnia del suo sax che con mia sorella!

Una considerazioni lenisce un poco il mio dolore. E’ la consapevolezza che Bobby se n’è andato sazio. Sazio di Musica, sazio d’una vita unica piena di emozioni e colpi di scena che la stragrande maggioranza di di noi può solamente sognare … Sazio di eccessi e di alcool, sazio di donne … Una vita vissuta all’eccelso servizio della sua grande passione.

Insomma, uno che ha intitolato la sua autobiografia Ogni sera, un sabato sera, deve essersela spassata di brutto.





 

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