JABBERWOCKY REVIEWS /// Memoriale del Convento (1982)

17 Aprile, 2015

Quanto deve sembrare strana la scrittura di José Saramago ai frequentatori di certa letteratura da Premio Strega, che ha fatto del punto e a capo una religione e della pagina bianca una scelta di stile.

Nelle pagine di Saramago (premio Nobel per la letteratura nel 1998) il testo si estende fitto e continuo fin dove il margine lo consente, le virgole scandiscono il ritmo e i dialoghi; i punti, rarissimi, si limitano a concludere paragrafi di vastità monumentale. Somigliano, queste pagine, a certi stufati iberici, certe calderaidas da trattoria in cui, per quante volte vi si affonda il cucchiaio, tante volte si sollevano pietanze diverse.

Img_piccola_1Anche Memoriale del Convento (trad. di Rita Desti e Carmen M. Radulet, Universale Economica Feltrinelli, pp. 319, € 9) restituisce essenze letterarie diverse ad ogni cucchiaiata. Vi si trovano sapientemente mescolati il romanzo erudito e la farsa, il flusso di coscienza, il trattato di scienze naturali medioevale e il saggio storico socialista, le finzioni di Borges e naturalmente il perdurante (almeno in Portogallo) Pessoa. Il convento citato nel titolo del libro è il monastero di Manfra, fatto costruire dal re Giovanni V per sciogliere il voto legato alla nascita della sua primogenita. Siamo nel 1711, un anno ideale, troppo remoto per riconoscervi il moderno, troppo recente per ogni patina antiquaria. Siamo in un Paese, il Portogallo, torpido di religione e di superstizioni, in cui perdurano l’inquisizione e l’autodafé, le sottane larghe, le scorribande guerresche e le superstizioni mistiche. Per le strade di Lisbona, pregne di miasmi e di profumi, si svolgono gli estenuanti rituali di corte ma anche le processioni dei flagellatori, nelle quali gli uomini si lacerano le carni per il piacere sensuale delle dame alla finestra.

Fra quelle strade si intrecciano numerose storie, in una sequenzialità non ragionata, tanto che, per i primi capitoli, si fa fatica a capire dove si voglia andare a parare. Conosciamo il re Giovanni V di Portogallo, prono alle rigide etichette di corte e funestato dall’epilessia, e la sua regina, Maria Anna d’Austria, catapultata al capo opposto d’Europa dalla ragion di Stato dinastica. Conosciamo padre Bartolomeu Lourenço de Gusmão detto “il Volatore” (personaggio realmente esistito), che spende la sua esistenza nella costruzione di una macchina volante che mescoli tecnica moderna ed alchimia. Incontriamo Blimunda, figlia di una strega bruciata sul rogo, afflitta da una singolare forma di veggenza, e il suo compagno Balthasar Mateus detto il Sette-Soli, soldato mutilo di una mano, convinto ad assistere nella sua folle impresa padre Bartolomeu, che sostiene:

Con quella mano e quell’uncino puoi fare tutto quanto vuoi, e ci sono cose che un uncino fa meglio di una mano intera, un uncino non sente dolore se deve fissare un filo e un ferro, non si taglia, né si brucia, e io ti dico che Dio è monco, e ha fatto l’universo.”

Tiene le fila di questo intricato groviglio di vicende l’autore, che è narratore esterno ed onnisciente, e che si muove disinvoltamente fra il presente dei personaggi ed il passato storico della loro terra, non negandosi brutali incursioni nel futuro.

Memoriale del convento, pubblicato nel 1982, non è forse il libro meglio riuscito di Saramago. Siamo lontani dalla perfezione formale di Cecità e da quella letteraria del Vangelo secondo Gesù Cristo. È un libro grezzo e fangoso, in cui spesso ci si perde e da cui talvolta si emerge annaspando. E questa è la sua bellezza.

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