Pass The Pop Corn /// Una Storia Vera

16 Gennaio, 2015

Pochi film possono vantare una combinazione di sentimenti, ironia, commozione e poesia riuscita ed attinente all’elaborato come Una storia vera, summa atipica dell’arte Lynchana (ma solo apparentemente) nonché  esibizione illuminante di uno dei registi più influenti degli ultimi decenni. Il “pellegrinaggio” del cineasta originario del Montana, iniziato nel lontano 1977 con lo straordinario sperimentalismo di Eraserhead- La mente che cancella, scandito dal kolossal Dune e forte di produzioni di primaria grandezza come Strade perdute, Mulholland Drive ed Inland Empire (senza dimenticare la mitica saga televisiva di Twin Peaks), tocca uno dei propri vertici narrativi grazie ad un’opera dotata di struggente bellezza meditativa, delineata da paesaggi magnifici che sfilano lungo i 111’ che scandiscono il ritmo di un prodotto di rara eleganza e concisione tratto da una storia realmente accaduta, realizzando una delle vette all’interno del magmatico mondo cinematografico di fine secolo.

L’ultrasettantenne Alvin Straight, malfermo sulle proprie gambe e senza patente, decide di partire dai campi di grano dell’Iowa dove risiede alla volta del Wisconsin, distante oltre trecento miglia, al fine di visitare il fratello Lyle, che ha subito un infarto e con il quale non parla da dieci anni a causa di una banale lite. Il vecchio Alvin s’imbarca così a bordo di una specie di tagliaerba con piccolo rimorchio, tra l’incredulità della comunità e la bonaria benedizione della moglie (una deliziosa Sissy Spacek), deciso a recuperare il rapporto con Lyle prima che l’orologio biologico renda impossibile tale missione. Prodotto low-budget, Una storia vera basa la propria forza comunicativa su un incastro eccellente di situazioni ed ambientazioni, su tutti gli splendidi scenari naturali che scorrono al pari dei giorni a fianco di Alvin Straight, corroborati dalla dimensione panica raggiunta dai protagonisti fusi in un tutt’uno tra temporali e cieli stellati (splendida l’inquadratura finale), con i memorabili personaggi incontrati lungo il cammino come la ragazza che bivacca con lo stesso Straight o la famiglia che lo accoglie quando il “mezzo” si rompe.

Nella concatenazione degli eventi, Lynch non sbaglia o tralascia nulla: la direzione degli attori è al limite della perfezione, i paesaggi verdeggianti inquadrati in un gioco di campi lunghi e controcampi da antologia funzionano come migliore scenografia possibile, le sonorità ambientali che accompagnano e riempiono i silenzi, un’ironia che permea gli interpreti in numerosi momenti di elevata poetica cinematografica, oltre all’empatia (obbligatoria) scatenata dal vecchio Alvin, straordinariamente interiorizzato dal caratterista di lungo corso Richard Farnsworth che ha ricevuto una nomination all’Oscar per la propria interpretazione.

Chi apprezza il Lynch visionario e fantascientifico faticherà qualche minuto a calarsi nelle tematiche proposte in questa commedia dolceamara, ma il film impiega pochissimo a prendere quota nella propria inesorabile, delicata lentezza, senza mai tediare lo spettatore ed evitando accuratamente qualsiasi ricorso a spettacolarizzazioni accessorie, senza mai snaturare l’essenza stessa di una pellicola che lascia più di un insegnamento esistenziale. La distribuzione italiana opta per il titoloUna storia vera, dato il plot tratto da una situazione realmente accaduta, mentre l’originale A Straight Story gioca sul duplice significato del cognome del protagonista tanto quanto del diritto (o della possibilità, nonché della volontà) dello stesso a risolvere la situazione pendente con il fratello. La scena finale, con l’incontro tra i due “vecchi”, è un commovente, catartico momento di cinema-veriteè. Da non perdere.

Fabrizio Proietti.

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