I Choose a Legend: Jackie Robinson

29 Novembre, 2014

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“A life is not important, except in the impact it has on other lives.”


“The Dark Destroyer, The Colored Comet, Jack-Jack, Jackie the Robber e J-Rob” erano solo alcuni soprannomi di questa leggenda che ha cambiato per sempre il volto di uno sport mondiale come il baseball. Ci sono barriere che cadono e scompaiono per la prima volta solo grazie a persone come lui. Fu il primo afro-americano a militare nella MLB (Major League Baseball) debuttando con i Brooklyn  Dodgers nel 1947, ponendo fine alla segregazione razziale nel baseball professionistico. Molto più di un giocatore, molto più di una persona con un sogno, oltre al suo impatto culturale, Jackie ha avuto una carriera straordinaria a in questo sport con una media di 311 batting everange , 1,518 Hits, 137 Home runs, 734 Runs batted in 734 e 197 Stolen bases. Ha disputato 6 World Series vincendone solo una nel 1955, battendo i rivali della “crosstown” in 7 gare con  Johnny Podres sul monte di lancio. Ha compiuto questa impresa andando contro tutto e tutti, compresi gl’istinti naturali. Era un uomo aggressivo, indignato per l’ingiustizia e per il mancato rispetto dei diritti. Il suo coraggio gli è costato anche la corte marziale perché si rifiutò di sedersi in fondo all’autobus durante il suo periodo di addestramento militare. Il suo istinto è stato quello di non “porgere l’altra guancia”, ma di affrontare i problemi… problemi molto più grandi della sua stazza. Una volta che arrivò in una vera  squadra professionistica, non ci mise molto a capire che tutto questo, non era proprio un mondo fantastico come “il paese delle meraviglie di alice”, infatti neanche i compagni di squadra all’inizio gli rivolgevano la parola. Solo l’autocontrollo nel non rispondere agli insulti da i suoi stessi tifosi e un stile di gioco altruistico, con l’unico fine di far vincere la squadra, combattendo le ingiustizie con il silenzio, gli fece guadagnare il rispetto di tutti nella Brooklyn di quei anni.


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 La sua famiglia non fu mai stata “benestante”, mezzadri quasi da sempre e subito dopo che il padre morì, 5 giorni prima della sua nascita, si trasferirono in California. Crescendo sempre in povertà, Jack fu escluso da molte attività ricreative che lo portarono ad arruolarsi nelle bande di quartiere, ma il talento ed il corpo, adatto a qualsiasi sport, lo portano lontano da questo ambiente riuscendo a strappare una borsa di studio alla UCLA eccedendo nel basket, nel baseball, nel football e nell’atletica. Non si laureerà mai, nell’ultimo semestre lascia il college per tentare la carriera semi-professionistica nel Football, prima agli Honolulu Bears  e poco dopo come running back ai Los Angeles Bulldogs della Pacific Coast Football League. Non fu un infortuno a terminare la sua carriera da RB ma… una cosa ancora più brutta, non solo per uno sportivo ma per un essere umano: La Guerra. Dopo la “fortuna” militare diventò direttore atletico/sportivo prima alla Sam Huston Università di Austin e poi di la Southwestern Athletic Conference, dove con un programma di basket alle prime armi, gli consentiva di far parte del team e qui ottenne il rispetto di tutti tra cui anche quello di Marques Haynes , futuro giocatore degli Harlem Globetrotters. Nel 1945 però riceve un offerta che non rifiutò per niente al mondo nella Negro League (lega di baseball adibita solo per le persone di colore) con i Kansas City King. Non giocò al massimo questa stagione, frustratissimo chiuse con pochi numeri nelle mani ma fu comunque scelto per un provino dai Boston Red Sox, dove ne uscì umiliato sotto epiteti razziali, infatti i BRS furono l’ultima squadra ad integrare nel proprio roster giocatori di colore come J-Rob. Branch Rickey lo selezionò per i Brooklyn Dodgers con un dialogo che ha fatto la storia di questo sport. All’inizio finì nelle leghe minori con i Montreal Royals dove vinse il premio di MVP a fine stagione con una media di .349 batting average e .985 fielding percentage.


Jackie-Robinson


Il momento per scrivere la storia era arrivato: “The Time is Near.”
Il suo debutto nella lega professionistica avvenne il 15 aprile del 1947 all’Ebbets Field davanti a 26,623 spettatori inclusi quelli di colore, che erano sui 14,000. A fine partita alcuni dei suoi compagni dichiararono che avrebbero dovuto sedersi anziché giocare accanto a lui ma il manager di allora Leo Durocher, strigliò la squadra con delle parole che risuonarono in tutta l’America del Nord: “Non m’importa se il ragazzo è di colore giallo o nero, o se ha le strisce come una f****a zebra. Sono il manager di questa squadra ed io dico chi gioca!”. Una persona straordinaria che non rispondeva nemmeno alle minacce e al gioco fisico che i St. Luis Cardinals usavano ogni volta che lo avevano di fronte, molte volte ha rischiato letteralmente testa a causa dei lanci mirati del pitcher di quest’ultima. Ma i Dodgers non si fermarono facilmente infatti insieme al suo compagno di squadra Harold Peter Henry “Pee Wee” Reese formarono un team storico per talento, infatti come già detto raggiunsero le finali ben 6 volte.  Ovviamente vinse il titolo di matricola dell’anno e  Due anni dopo dal suo debutto, vinse anche l’MVP della stagione. Divene fonte d’ispirazione per migliaia di giovani afro-americani con quella correttezza unica, mai manifestata prima di lui in qualsiasi sport mondiale. La sua carriera e la sua vita non finisce con l’MVP e ne con il titolo dei Dodgers, infatti quello che ha lasciato all’umanità va ben oltre il tempo e il concetto d’infinito. -“I’m not concerned with your liking or disliking me … all I ask is that you respect me as a human being.”- Nel 1999, è entrato a far parte delle 100 persone più influenti del 20 ° secolo ed è tra i 100 più grandi giocatori di sempre. Il premio della MLB come miglior matricola dell’anno è stato cambiato da Rookie of the Year in “Jackie Award Robinson”. Il numero 42 è stato ritirato dall’intera lega e nel 2007, per il 60° anniversario del debutto di questa leggenda, ogni giocatore ha indossato per una partita in suo onore il numero 42… più di 200 giocatori lo hanno indossato in quel giorno.
Indimenticabile ed intramontabile come pochi.
C’è qualcosa che impediva a Jackie Robinson di non rispondere agl’insulti e agli sputi sulle sue scarpe… si chiama “libertà mentale”. Ogni volta che indossava quel guanto e toccava quella pallina con l’altra mano, si sentiva libero, libero di librare la propria anima in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento e se un giorno dovessi combattere per i miei diritti e per il mio futuro che la società mi sta togliendo, indosserei solo ed esclusivamente, il numero 42.

“Molto di più di una persona, molto di più di un giocatore…molto di più di un eroe.”


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