NAIS Live! // Calcutta @ Doxapalooza – Guardia Sanframondi (26-12)

2 Gennaio, 2016

L’altra sera era il 26 dicembre e c’era Edoardo Calcutta a Guardia Sanframondi, un paesino in provincia di Benevento, poco più di 5000 abitanti, un castello medievale largo e aperto sul cielo e un’organizzazione serrata, la Doxapalooza, che riesce ad accaparrarsi il maggior hyper del momento della musica italiana. A casa mia, durante la cena agra di tramezzini e peroni a smaltire i baccalà e le zeppole del giorno prima, ero già in tenuta Mainstream con la sciarpa rossoblù e le prime tre righe di “Frosinone” in testa, “mangio la pizza e sono il solo sveglio in tutta la città bevo un bicchiere per pensare al meglio per rivivere lo stesso sbaglio”, ormai inno dei miei giorni di fine anno, nelle notti insonni passate tra un pane e mortadella random e una puntata di Fargo a restaurarmi. In macchina partiamo in 5 con Michele e l’amico ad attenderci già lì al castello dove c’è Edoardo con un giubbino blu preso a bene col cielo e col vino.


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Di sopra la bolgia va scaldandosi pian piano; l’alcool costa poco e l’atmosfera pare quella di una grande festa che include gente diversa: una laicità musicale che scavalca ogni credo ormai stantio. Perché la forza principale del 26enne di Latina è forse quella di aver come superato certi steccati di genere.


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I volti, gli abiti, i corpi sono a volte distanti ma amalgamati al contempo e durante il live c’è spazio per il romanticismo dell’ascoltatore più sentimentale, il coro, comunque ugualmente poetico, del tifoso calcuttiano che, sciarpa Mainstream in mano, fa della sala una curva da stadio: la squadra da supportare è la CALCUTTA FC, quattro membri, un capitano in Edoardo che gioca libero a volte in mezzo al pubblico coi suoi 27 minuti di disco che dice a tutti “fradelli seguitemi sono fra le vostre cose che sono le cose di tutti”. Ed è così che si parte subito con “Limonata” e poi “Frosinone”, l’inno di cui dicevo prima. C’è posto anche per qualche pezzo di “Forse…” (Geographic Records, 2012), disco diffusosi tramite tradizione orale (e virtuale), quasi a trasmissione rapsodica e così è la volta di “Cane” e della malinconica “Amarena”.


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Più tardi c’è anche tempo per un tributo a Niccolò Contessa dei Cani, nell’outro di “Milano” Calcutta ci spara l’ormai storica “Le Velleità. Ma il songwriter di Latina continua a farci stare bene recuperando quell’intimità col pubblico tipica dei suoi concerti al Fanfulla; la discrepanza fra il Calcutta Mainstream e quello “popolare” del primo lavoro è forte ma durante il concerto l’impatto è diretto, nofilter, il pensiero comune è “Edoardo ci vuole bene, ora salgo sul palco a fare un pezzo con lui” oppure “Scriverò un pezzo con Edoardo a quattro mani”.


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Nell’euforia generale si prosegue ai supplementari con la curva sempre pronta a tifare Edo e un romanticismo velato a riempirci il cuore. C’è ancora “Gaetano”, replicata in karaoke con la gente, fino a quando il concerto si scioglie in maniera naturale e allora tutti quanti a bere. Quando sono fuori scambio due chiacchiere con Edoardo e si leva un coro di GAETANO MI HA DETTO CHE VIVIAMO NEL GHETTO di voci forti e urlanti. Fra me, mentre rincaso, penso che il Mainstream non è mai stato così bello, metto su il disco e anche domani tiferò sempre Calcutta.


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