NAIS LIVE! // Nathan Fake, Rødhåd, Synkro, Broke One @ SCENARIO (12-9-2015)

16 Settembre, 2015

La mattina del 12 settembre mi alzo stanco morto con un strano mal di testa. La sera prima mi ero addormentato con “Restless idylls”  (Blackest Ever Black, 2013) dei Tropic of Cancer nelle orecchie e portavo ancora i segni di una forte malinconia da altro mondo. Eppure di lì a poco, io e Stefano saremmo partiti verso Roma per la coloratissima serata di Scenario, al circolo Andrea Doria; avrei quindi dovuto abbandonare il mio mood semi triste per uno più vivace e cromatico.


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Partiamo, come sempre in ritardo sulla tabella di marcia, alle 16.30. Il viaggio scorre abbastanza veloce, una sosta all’autogrill mi permette di toccare con mano il nuovo numero di Rolling Stone con la copertina dedicata ai The Kolors, la didascalia recita “Ci avevano detto che non saremmo andati da nessuna parte”. Decidiamo di andarcene velocemente riflettendo su questa vita amara.

Giunti a Roma, posiamo le robe da un amico dove ci fermeremo per la notte, mangiamo una pizza poco decente a 6.20, beviamo qualche birra e via verso l’Andrea Doria. Non è facilissimo raggiungerlo. Seguendo il navigatore, facciamo lo stesso percorso un paio di volte prima di capire che al posto si arriva tramite una stradina poco visibile, dopo un parcheggio in cui campeggia qualche vecchia battona di strada. Arrivati al posto, entriamo quasi subito. È circa mezzanotte e sul palco, prontamente allestito e coloratissimo, si sta esibendo Broke One, il dj milanese, scuola Red Bull Academy, e sulla “dancefloor” all’aperto c’è ancora poca gente, un pubblico composto perlopiù di giovanissimi molto sparso e distante. Un tizio scatenato con un giubbino arancione fosforescente si esibisce in balli da sciamano tribale. Tutto sommato, Broke One è un buon antipasto della serata.


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A Seguire, c’è Synkro, che propone un set interessantissimo, curato, intelligente. Suona parte del suo album di debutto “Changes”, visioni cupe su ritmi ballabili, un Burial contemporaneo (e scusate l’eresia). Alla fine, si becca un buon numero di fischi che ancora oggi non riesco a capire se fossero sparati a caso o mostrassero poco gradimento alla parte finale dell’esibizione. Dopo Synkro c’è lui, Nathan Fake, il ragazzo imbronciato di Norfolk, il prodigio della Border Community, il pupillo di James Holden. Nathan Fake, suona sapientemente sbattendosi manco fosse Vatican Shadow (ma forse esagero).


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Il suo live ricalca perlopiù l’ultimo disco “Steam days” (Border Community, 2012), un paesaggio sonoro, forse lontano dallo stile bucolico dei primi due lavori. L’inglese sembra suonare con una mano sola; il giovane monco che fa impazzire il mondo non delude le aspettative di nessuno. Dopo le tre arriva Rødhåd, il roscio tedesco, fondatore dei party e dell’etichetta Distopyan a Berlino. L’architetto costruisce strutture già squadrate, lasciando poco all’immaginazione.


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Il suo set è progettato secondo i tempi e i bassi canonici della techno d’ordinanza, tutto sommato un finale classico ma azzeccato per la serata. Ce ne andiamo verso le 4.30, e dopo esserci persi due volte nei pressi di Tiburtina, raggiungiamo casa del mio amico a Piazza Bologna. Il giorno dopo andiamo via. In auto, Stefano DoHope mette su una band che non conosco, i neozelandesi “Electric Wire Hustle”, questo soul psichedelico e bastardo mi riconnette l’anima, come a dire: “Non di solo console vive l’uomo”. Una volta a casa mi addormento ascoltando di nuovo “Restless idylls” dei Tropic of cancer.
A tarda sera, però, mi risveglierò rigenerato e in salute, tutto sommato felice.


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