POV // CALVINO

8 Maggio, 2015

La nostra sarà un’intervista atipica.
Un’intervista visiva.
Oggi ospiti della rubrica Point Of View: Calvino.


  • Come sintetizzereste voi stessi e la vostra musica con una foto? Quali sono gli oggetti da cui non vi separereste mai e che riescono a riassumere al meglio ciò che rappresentate?

Come penso sia evidente dalla foto che vi ho mandato, non sono un fotografo, per fortuna, ho una pessima vista, sono mezzo miope e mezzo astigmatico e non so neanche bene cosa vogliono dire questi termini. Sta di fatto che ci vedo male dall’età di 4 anni quando mia madre, vedendomi continuamente strizzare gli occhi, mi affibbiò dei tremendi occhialetti rotondi con la fascetta elastica per tenerli legati alla testa. Già avevo problemi all’asilo dell’hinterland milanese per colpa del mio accento bergamasco. Mi ero appena trasferito a Milano e i bambini me le davano di santa ragione per le mie “o” strette e la cadenza ruvida. In ogni caso gli occhiali da sfigato avranno avuto il loro peso.


 

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Con queste premesse direi che forse è stato naturale rivolgermi più all’udito per avere qualche soddisfazione. Il “visivo”, quello fantasticato nell’immaginazione più che quello reale, ha avuto un’importanza fondamentale, ha preso forma attraverso i libri e attraverso le canzoni dei cantautori italiani che ascoltavo dalle cassette de “l’Unità” che mio padre aveva sempre in auto.

Le canzoni permettono di vedere immagini nitide, costruirle mi dà molta soddisfazione.

Scrivere canzoni è stata una conseguenza inevitabile per vedere e capire qualcosa in più di quello che avevo attorno.

La “scenografia” della foto è il mio pianoforte Furstein che mi segue dall’età di 9 anni. E’ un pianoforte di piccole dimensioni rispetto ai pianoforti verticali standard, crescendo ho fatto sempre più fatica a farci stare le gambe mentre suono. Per questo motivo tuttora nei concerti, anche se di spazio ne ho, dato che uso una tastiera digitale, mi viene da tenere le gambe piegate scomodamente da un lato.


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Sui suoi tasti sono appoggiati 3 oggetti:

  • Un taccuino su cui scrivo parole e accordi. L’80% di quello che c’è scritto non lo ascolterà mai nessuno, fortunatamente. Sono pochi i momenti in cui esce qualcosa che davvero mi convince e sono degli attimi di piacere estremo che raramente ho raggiunto in altri contesti.
  • Una maschera di Ganesh presa al tempio di Madurai in India. Viaggiare è stata un’esigenza che ho scoperto negli ultimi anni e cerco di farlo appena posso. E’ stato proprio in quel viaggio che l’idea e i contenuti del disco si sono manifestati per la prima volta.
  • Le chiavi della mia auto. Una Ford Fiesta azzurra del 2005. Comprata usata in occasione della maturità al liceo. Lei è la mia vera casa. Negli ultimi anni ho cambiato 6 case per i più svariati motivi. Il fiestino non l’ho cambiato. Mi ha portato in quasi tutta Italia, isole comprese, e in mezza Europa, dalla punta di Tarifa con il Marocco all’orizzonte a Budapest. Di storie da raccontare, ma anche da nascondere, lì dentro ce ne sono parecchie.

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  • Quali sono i cinque dischi che vi hanno maggiormente influenzato e perché?

I dischi che mi hanno maggiormente influenzato sono quelli che collego alla mia crescita e ad alcuni momenti particolari della mia vita. Sicuramente “Francesco De Gregori” di De Gregori, un esempio di come il “visivo” immaginato possa essere potentissimo. “Lucio Dalla” di Lucio Dalla, stessa potenza di immagini con un’ironia e una spontaneità disarmanti. Questi sono i dischi legati all’infanzia che sono tornati prepotentemente durante i miei vent’anni.

Nell’adolescenza si è imposta invece la musica punk. Con alcuni amici passavamo i sabati pomeriggio in una cantina ad assassinare i nostri timpani suonando canzoni che pensavamo essere di rivolta. In quegli anni i dischi che mi hanno accompagnato sono stati su tutti “Never mind the bollocks” dei Sex Pistols e “Smash” degli Offspring.

Quando sono andato via di casa per andare a fare il barista di Starbucks a Londra e cercare di inseguire il sogno quanto mai irrealistico di una carriera da musicista nella capitale inglese, le canzoni che risuonavano nella mia testa erano quelle di “Parachutes “ dei Coldplay. Da allora sono passati quasi 8 anni e molti sono i dischi che mi hanno influenzato e  che continuano ad influenzarmi.


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  • A quale film colleghereste la vostra musica? Più nello specifico: vedreste una o più delle vostre canzoni come colonne sonore di qualche film o qualche scena in particolare? Se si, quale?

E’ una cosa a cui non ho mai pensato. Di solito mi viene in mente il contrario, ovvero quali immagini potrei abbinare ad un mio pezzo. Sembra la stessa cosa ma in realtà è il procedimento inverso.

In una colonna sonora sono le immagini del film ad essere esplorate, è una cosa che mi è capitato di fare e la trovo molto stimolante. Nelle canzoni invece esistono già delle immagini che si impongono e cercare una corrispondenza in qualche film mi viene difficile. In sintesi adesso non ci riesco.

Però ci penso, promesso.


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• Qual è il vostro rapporto con le altre forme d’arte?

Non saprei come rispondere in breve. Mi piace molto leggere romanzi e adoro andare al cinema. Detta così proprio.

  • Ci consigliereste un brano a cui siete particolarmente legati da postare come vostra “TRACK OF THE DAY”?

“I am trying to break your heart” dei Wilco



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