YOU TALKIN’ TO ME? WHO THE FUCK DO YOU THINK YOU’RE TALKING TO? // Calcutta

17 Febbraio, 2016

a cura di Domenico Porfido, Pasquale De Prizio ed Alfredo Cannizzaro


Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Calcutta il 26 dicembre, dopo il concerto al Castello di Guardia Sanframondi. Ci ha detto come si fa ad essere galanti.


Ciao Edo, innanzitutto chi è Gaetano?


E’ un mio amico.



Ma è lui quello sulla copertina di Mainstream?


Sì, è proprio lui quello.


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Perché hai scelto San Pietro come location?


L’hanno deciso i capi di Bomba Dischi, io avevo proposto un’altra location che ora non ricordo, loro invece hanno spinto molto per San Pietro. Penso per i turisti. Forse.


Ma tu che rapporto hai con la musica italiana? Sei partito da quella o ascoltavi altro?


Devo dirti la verità, fino a poco tempo fa ascoltavo poca roba italiana. Alle superiori ho ascoltato un sacco di roba americana… tipo Bright Eyes o roba screamo. Poi all’università ho ascoltato un sacco di techno, house, l’house delle prime etichette come la Trax Records.



In “Dal Verme” infatti i tuoi ascolti elettronici emergono chiaramente…


Sì, un po’ vengono fuori, anche grazie alla collaborazione con Mai Mai Mai.



E poi?


E niente, avevo scritto delle canzoni con un mio amico e da allora mi sono appassionato alla musica italiana. Ho cercato di ascoltarla tutta, anche le cose più brutte. Anche se all’indie italiano non mi ci sono mai affezionato, ultimamente però ho scoperto alcuni gruppi tipo I Cani, tipo Maria Antonietta. Non li avevo mai ascoltati, poi gli amici me li hanno passati e devo dire che ci sono delle cose che mi piacciono, mentre altre non mi va proprio di riascoltarle.


Gli anni ’10, per quanto riguarda la scena indie italiana, sono stati aperti dal primo disco de I Cani.  Tu in qualche modo con “Mainstream” stai chiudendo un ciclo, un discorso. Ovviamente non sto paragonando la tua musica a quella di Contessa, ma credo che lui abbia aperto nuovi scenari nel panorama italiano e che tu stia completando un certo cammino chiudendo questa prima metà di anni ’10 con il tuo album d’esordio. Che ne pensi?


Mah, non lo so. Magari se continuo a fare concerti così forse chiudo proprio io (ride).


Perché?


Il concerto di stasera è stato incredibile, è la prima volta che in questo tour accade qualcosa del genere. Vero, prima di salire sul palco mi sono scolato una boccia di Falanghina, ma c’è dell’altro. Noto che la gente ai miei concerti vuole interagire, vuole salire sul palco e cantare. E stasera, come avete avuto modo di vedere, ha premuto più del solito e così ho lasciato che cantassero al posto mio. Mi sa che ho scoperchiato un vaso e quando accade non puoi stare lì a cercare di tappare col piede qualcosa che sta per esplodere, non posso reprimere quell’energia: se la gente vuole salire sul palco e cantare che cazzo je devo di’. Anche se è la prima volta che questa partecipazione del pubblico è così eclatante. C’è questa tendenza ai concerti di voler oltrepassare il limite del palco, è una cosa bella secondo me.


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Come nascono le tue canzoni?


Dipende, ci sono dei momenti in cui uno è predisposto, fecondo. È come se fosse un ciclo, capisci, come se fosse un ciclo mestruale (ride)…


Te lo chiedevo perché in giro si leggono paragoni importanti, la tua scrittura è stata accostata da qualcuno a addirittura a quella di Battisti.


Bha, che ne so! La gente è liberissima di fare i paragoni che vuole, io sono liberissimo di non pensarci. Non so come dirti. A me Battisti piace tantissimo, però non era lui che scriveva i testi e poi ha avuto tante di quelle fasi che ad esempio il primo Battisti non ha niente a che vedere con i lavori che ha fatto in seguito. E potremmo stare a parlare per ore su come dividere i periodi della sua carriera, ma sarebbe una chiacchiera da bar che non troverebbe spazio. Comunque non me la prendo se mi paragonano a lui, la sua musica mi piace, è un figo!


E del disagio…


A me questa parola non mi piace.


Sei stato definito anche come il cantore delle borgate, della provincia, e appunto del disagio.


Quello forse è Califano. Cioè cosa vuoi dire, spiegami.


Ti riconosci nella definizione di “autore della strada”?


Più che altro della mia strada. La mia roba rispecchia molto quello che ho dentro. La gente spesso mi dice di ritrovarsi nei miei testi. Io credo che sia dovuto al fatto che sono molto chiuso in me stesso, tendo a parlare di me e di quello che sento. C’è questa stanza che magari abbiamo tutti dove ognuno dice a se stesso come stanno le cose. Non cerco di seguire le strade, ma la mia strada, è un percorso molto personale. Non so dirti se i miei testi parlano della periferia, cioè non sono un rapper zi’. Mi piacerebbe esserlo però non ho proprio il physique du role, forse (ride).



Però io credo che tu raccolga una certa fetta di pubblico che ama proprio il disagio che in qualche modo riesci a far trapelare attraverso la tua musica.


Ma io a questo concerto non ho visto immigrati, disperati, gente cacciata da una casa occupata. Mi sembra che la mia musica trasmetta molto di più, non è solo una questione di disagio. Ho visto gente molto variegata al concerto, oltre voi due ovviamente che siete i più disagiati di tutti (ride). Però non mi pare io sia un rappresentate di alcuna lotta sociale.  Si parla, forse, anche di una sorta di “degrado” urbano, in cui, magari, qualcuno ci si ritrova se vive a determinate latitudini del mondo. Poi ognuno è libero di trovarci quello che vuole. È questa la cosa più bella della musica, secondo me.


C’è una discrepanza fra il primo disco e il secondo?


Minchia. Sono due cose completamente diverse o quasi. All’epoca del primo album non avevo voglia di scrivere le canzoni, se mi concedi l’espressione erano dei cazzeggi che facevo tra amici. Erano dei pezzi che si tramandavo oralmente in una ristretta cerchia di persone. Come coi ràpsodi, rapsòdi, non so come di dice. Eravamo al massimo 20 persone sparse tra Latina e Roma. C’erano dei canovacci su cui c’era il pezzo e ad ogni esecuzione le parole cambiavano. Infatti il primo disco è una delle possibili varianti di quelle canzoni. A me non me ne fotteva un cazzo. Poi…



E poi?


E poi ho cambiato il modo di scrivere i pezzi, è così che è nato il nuovo materiale. Che ha tutta un’altra veste, che era piuttosto cristallizzata già prima di entrare in studio. Il concetto alle spalle è completamente diverso, ma anche come scrittura zi’. Quella di prima era una scrittura sbrodolata, un po’ “a cazzo di cane”, perdonatemi il termine. Non c’era alcuna progettualità alle spalle. Con Mainstream, invece, sia io che l’etichetta abbiamo unito le forze per dar vita ad un prodotto migliore. Abbiamo lavorato in serenità, non mi ero posto come obiettivo ad esempio un sold-out come quello di stasera a Guardia Sanframondi. Non mi aspettavo di ritrovarmi così tanta gente in un paese così piccolo in Campania.


Come ti spieghi il successo che stai avendo?


A livello commerciale, riflettendoci, è una roba grossa. Grazie per la sigaretta, mi hai letto nel pensiero!


E come lo stai vivendo, sei sulla bocca di tutti, piaci a tutti, anche a mia madre.


Lo sto vivendo in questo modo: ci sono dei concerti in cui mi lascio ancora un po’ troppo andare, tipo questo, proprio come in passato, mi riferisco al periodo del primo album. Perché sono rilassato e la gente mi sembra sia presa a bene nonostante il biglietto di 7 euro. Mi pare che ci sia del gioco, la voglia di giocare tra me ed il pubblico. Poi ci sono delle volte, tipo come quando sono andato a Milano, in cui dico P***o D*o stasera ci sono 600 persone in una città per antonomasia un po’… ma invece in realtà non è così perché le persone sono molto affettuose. E quindi arrivi a Milano e dici porco cane! E penso al concerto che sto per fare, penso che prima non devo bere, non mi spacco, non vivo più il concerto come un’esperienza, come dire, rock. La vivi come una roba che sei lì sul palco, fai il tuo e dici “Ciao ragazzi abbiamo 27 minuti di disco e non possiamo fare di più, vi voglio bene. Arrivederci. Clap Clap!”. Così la vivo, poi vado a casa zi’, mi metto sotto le pezze e dormo.


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Credi che la tua musica, forzando un po’ la mano, possa essere definita nazional-popolare? Non sto usando questo termine con un’accezione negativa, noto solo che il tuo pubblico oramai è trasversale. Nei tuoi testi si ritrovano sia i liceali che gente di 50 anni. Il tuo non è un messaggio prettamente sociale, etico o politico, ma in qualche modo lambisce queste tematiche.


Nazional-popolare non è un brutto termine secondo me. Non mi offendi se lo dici. Per me se lo dici va bene, ma non mi sveglio la mattina e dico che il mio è un progetto nazional-popolare. Però se tu me lo dici, non avendoci mai pensato, ti dico che va bene. Mi fa piacere quello che dici, mi fa piacere che la gente si rispecchi nei miei testi.  Credo poi che sia naturale avvicinarsi a certe tematiche quando io parlo di me stesso nelle mie canzoni, ma non escludo a priori certi argomenti nonostante io non ne parli direttamente. E poi è normale, tutti quanti paghiamo le bollette, tutti abbiamo dei problemi di questo tipo…


“Ti presterò dei soldi per venirmi a trovare…” in questo verso parli di questo tipo di problemi?


Sì, per esempio. Quello è un pezzo che parla di scappare, scappare da una vita di coppia un po’ ingolfata come al solito. Perché la vita di coppia non è mai bella. Forse questo è uno di quei pochi posti in cui il rapporto di coppia lo si può vivere ancora in un modo sano, perché è un paese piccolo, lontano sia mentalmente che geograficamente, non voglio dire dal male, ma quelle cose che remano contro la vita di coppia.



Infatti leggevo in altre interviste che i rapporti “liquidi” delle grandi città ti danno un po’ fastidio, la velocità con cui si stringono e si perdono rapporti, è tutto così frenetico…


(in sottofondo qualcuno urla “bravoooo!”…)

(applausi)

Diciamo che ci sono in mezzo ovviamente anche io in questa cosa, ma non sono “mormone”.


Una domanda che volevamo farti.. Io ti ho aggiunto su Facebook un po’ come hanno fatto tutti.. Tu con i social che rapporto hai? Voglio usare un’ espressione un po’ così.. Tu fai del buon Facebook?


Non lo so, scrolla la mia pagina… vediamo insieme…


Mi piace molto appunto il rapporto che tu hai con i social, si vede anche dalla tua bacheca privata.


Soprattutto quella, di quella parliamo. Questa è una bella domanda! Fai un buon Facebook? Non lo so, vediamo la bacheca, non ricordo le ultime cose che sono state pubblicate.. Vediamo, vediamo…


Allora persone che scrivono, regali di natale, queste sono cose che più che altro scrivono gli altri, non tu, qualcuno che cita Raimondo e Sandra, “Che cosa mi manchi a fare” su Radio Deejay, tutto crea una sorta di circuito mediatico che si ricicla in un certo senso.


Beh in un certo senso questo è un buon Facebook, questa passività già è un buon Facebook. Però voglio vedere l’ ultimo post che ho fatto che non me lo ricordo.


Ad esempio qui.. Gli Smiths…


A che ora de notte?


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Alle 3.51.


So un ragazzo romantico alla fine, diciamolo… Qui è un vecchissimo concerto, di quando ero ancora “sbrodolone”, sbirulino, questa è la mia ex ragazza che, vabbè…. Ecco attenzione “ciao a TUTT, stasera metto i dischi senza guardare al fanfulla, sarà una bella festa, venite felici” questo è un buon Facebook dai!


Si è un ottimo Facebook, e quello che mi chiedevo, appunto, è se è importante oggi fare del buon Facebook.


Secondo me è galante.


In che senso galante?


Nel senso che comunque sai che gli amici si aspettano qualcosa da te, ricambi le loro aspettative essendo galante appunto, io non ho la “fregola” come si dice, di postare, non mi sveglio la mattina dicendo P***o D*o devo prendere 200 likes. Ogni tanto mi diverto, ultimamente la mia pagina Facebook un po’ è gestita anche da un ragazzo di Bomba Dischi che scrive le cose tipo “da oggi anche su iTunes”. Io invece ieri ho postato una foto mia col Franciacorta dicendo “Ciao ragazzi domani ci becchiamo”. Secondo me l’ importante è essere scialli come si dice a Roma.

Sti giorni  pensavo di fare una cosa tipo una pagina  “Calcutta Staff”, per tutti quelli che parlano ai concerti, tipo: volevamo dire Vaffanculo, Calcutta Staff .. Comunque questa è una della domande più belle che io abbia mai ricevuto penso. Tu fai un buon Facebook secondo me, se vede.


Eh l’ ultimo post mio era sarabanda col creaturo un po’ smostrato, e ha preso 30 likes, non è tanto ma ci proviamo… Ma ci fai fare del buon Facebook stasera? Ci facciamo una foto con te con l’ hashtag “fuori c’è il sole”?


Tra l’altro Fragola ha postato su Twitter il mio pezzo, lui fa un buon Twitter. Io ce l’ho ma non l’ho mai usato. Instagram siete forti ragazzi?


Lo usiamo abbastanza poco, lei fa un buon Instagram, sta a Milano (indichiamo un’amica fuorisede).


Ah sta a Milano allora si che fa un buon Instagram. Comunque dai è stato bellissimo stasera, ci siamo divertiti, voi dovete scrivere che sto ubriachissimo ma che non ho dimenticato nessuna parola… “sono le barche che…” che cazzo fanno le barche?


E poi il sosia di  Marco Marfè che è salito sul palco, grandissimo.


Non era Marco Marfè, zi’ mi esalto troppo se era Marco Marfè!


Interviene una ragazza che stava assistendo all’intervista: “comunque quello che è salito sul palco conosceva le canzoni più di te, incredibile!”


Lui è venuto e mi ha detto all’orecchio “ io vorrei fare “Napul’ è” di Pino Daniele al pianoforte” e quello che stava alla tastiera con me ha detto che non si poteva fare. Napul’ è di Pino Daniele voleva fare e poi ha aggiunto: “ma io la faccio in chiave jazz cazzo!”


Di che anno sei?


89, aprile.


Con l’ università che hai fatto?


Ho fatto portoghese e brasiliano…


Qui l’intervista si interrompe. Calcutta viene rapito da alcuni fan che, ultras della vida, cantano Gaetano a squarciagola. Uno dice di esser diventato gay perché si è innamorato di lui e che vorrebbe concerti più lunghi. Un altro urla “Calcutta Papa!”

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