BEAT OR BAT – Kerouac e Il Baseball

5 Novembre, 2014

Basta pronunciare Beat Generation ed il collegamento è immediato: Jack Kerouac (1922- 1969). Se si cerca di accostare il nome dello scrittore americano al baseball, invece, il legame non è per niente chiaro. Si tratta di una lacuna legittima, ma procediamo con ordine e partiamo da On The Road (1957), indubbiamente il romanzo più conosciuto dell’autore. Parliamo di uno dei manifesti della generazione beat, un libro sul quale si sono spesi fiumi di parole ma che rimane, in prima analisi, la straordinaria quanto “semplice” descrizione di una serie di viaggi. Nell’opera il paesaggio nord-americano si srotola, per dirla alla Kerouac, sotto i piedi dei personaggi; ognuno alla ricerca della propria, personalissima, libertà. Libertà da un’idea di nazione, uscita vincitrice dalla seconda guerra mondiale, che tenta di impartire ai propri giovani la lezione del capitalismo e del sogno americano. Eppure Kerouac, nel suo tentativo di evasione, riprende temi quali la rottura con gli schemi convenzionali e, appunto, il viaggio, tanto cari alla tradizione letteraria made in U.S.A.. Proprio la parola tradizione ci aiuta a proseguire nel discorso. Quale sport è radicato nella tradizione popolare degli Stati Uniti più del baseball? Kerouac ne subisce l’influenza, a volte lo pratica ma soprattutto, come la maggior parte dei giovani americani, ne diventa un appassionato. Nel suo primo romanzo pubblicato, La città e la metropoli (1950), l’autore racconta, anche se proiettando la sua personalità e la sua storia in quella dei tre fratelli Martin, gli anni della sua giovinezza passata a Lowell (che nel libro diviene Galloway), piccola e anonima cittadina di provincia dell’entroterra americano.


Kerouac_baseball


 

Analizzando e sintetizzando i tre personaggi, ne emerge la figura di un ragazzo sognatore (Joe Martin) dotato di un animo sensibile e intellettuale (Francis Martin) ma che dimostra di essere, allo stesso tempo, un grande atleta (Peter Martin). Nella realtà Kerouac ha un fisico agile, veloce e resistente, da giocatore di football; sport grazie alla quale riceve una borsa di studio per accedere, nel 1940, alla prestigiosa Columbia University di New York. Stiamo quindi parlando di uno sportivo a tutti gli effetti, è il baseball, però, più del football, a segnare fin dall’infanzia la vita dell’autore. E’ proprio a Lowell, infatti, che intorno agli anni ’30 un piccolo e spesso solitario Jack comincia a giocare un baseball rudimentale e fatto in casa, colpendo una biglia con uno stuzzicadenti o con qualsiasi oggetto potesse sostituire una mazza reale. Niente di straordinario se a fare da sfondo alle sue partite immaginarie non ci fosse stato un mondo fatto di giocatori, franchigie e statistiche di sua invenzione. Si tratta di un passatempo che andrà evolvendosi con gli anni e che gli terrà compagnia fino a poco prima della morte. A farci scoprire tutto questo è Isaac Gewirtz, autore di Kerouac at bat: Fantasy sport and the King of the Beats (The New York Public Library – 2009). Scendiamo nei particolari. Con l’arrivo dell’adolescenza, periodo in cui Kerouac si dedica più ardentemente alla sua invenzione, il gioco comincia ad arricchirsi con pagine e pagine di annotazioni, statistiche, e commenti. Un vero e proprio universo sportivo parallello fatto di giocatori fittizi come Wino Love, Warby Pepper, Phegus Cody e squadre con nomi derivati da automobili (Pittsburgh Plymouths) oppure da colori (Cincinnati Blacks). Va da sé che il lavoro di classificazione e soprattutto di fantasia è enorme. I risultati delle partite, le condizioni dei campi di gioco, i commenti alle gare, erano spesso riportati in una pubblicazione fatta in casa dal titolo Jack Lewis’s Baseball Chatter (Jack Lewis anglicizzazione di Jean-Louis, vero nome di Kerouac). Non è finita qui. Sempre grazie al lavoro di Gewirtz sappiamo che all’età di ventiquattro anni Kerouac elabora un vero e proprio set di carte, personalizzate per ogni squadra, dove sono riportate tra le altre cose gli skill levels di lanciatori e battitori. Nel 1956 il tutto si evolve ancora di più, integrando alle descrizioni un “misterioso” sistema di simboli. Come non vedere in tutto questo un prototipo dei moderni giochi di carte collezionabili che fruttano milioni di dollari alle rispettive case produttrici? Un motivo in più per elogiare una delle menti più fervide del ‘900. Tutto questo materiale cartaceo, “storia sportiva” autoprodotta da Jack Kerouac, fa parte, dal 2009, del “Jack Kerouac Archive” alla Berg Collection della New York Library. Si tratta di una scoperta recente, anche se non completamente oscura a chi ha letto qualche opera meno celebre dell’autore come Angeli di Desolazione (1965). Il lavoro di Isaac Gewirtz non è, però, meramente descrittivo.



 

Si indaga anche sull’aspetto psicologico. Secondo lo studioso, essendo cresciuto con un padre appassionato di corse di cavalli, non è per niente strano che Kerouac avesse sviluppato un hobby del genere avendo avuto più e più volte la possibilità di confrontarsi con pubblicazioni fitte di numeri e quotazioni riguardanti l’ippica, sport della quale, tra l’altro, realizza un passatempo simile a quello che stiamo analizzando. Ancor più interessante è la spiegazione secondo cui la morte del fratellino Gerard, avvenuta quando Kerouac aveva quattro anni, sia stata rilevante per l’invenzione di un mondo fantastico in cui la figura di Jack Lewis assume, a volte la sembianze di uno sportivo di successo, a volte quelle di un caporedattore di grande fama. La voglia di scrivere, raccontare, analizzare, emerge in tutti i suoi aspetti in questo mondo primitivo e fanciullesco, ma soprattutto privato; da quanto emerso dagli studi, infatti, neanche gli amici più stretti della beat generation come Allen Ginsberg e William S. Burroughs erano a conoscenza della questione. Per concludere possiamo senza dubbio affermare che il baseball, o meglio il fantabaseball, con tutto il lavoro d’immaginazione ed esposizione ad esso correlato, viene a configurarsi come uno dei primi esperimenti narrativi e descrittivi dell’autore di fama mondiale che Kerouac diventerà. Forse però, più di ogni altra cosa, questo gioco ha rappresentato per un animo tanto nobile quanto fragile, semplicemente un metodo di evasione e di distacco da una realtà che lo ha tormentato per tutta la vita.


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