YOU TALKIN’ TO ME? WHO THE FUCK DO YOU THINK YOU’RE TALKING TO? //… LAGS.

12 Dicembre, 2015

a cura di Domenico Porfido


In un freddo pomeriggio di dicembre, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Antonio, voce dei LAGS, progetto Post-Hc nato a Roma nel 2013, con all’attivo un EP autoprodotto, “Preludio”, e un album, intitolato “Pilot”, uscito a ottobre di quest’anno per l’etichetta TO LOSE LA TRACK.



Ciao Antonio. Innanzitutto Chi sono i LAGS?
Perché questo nome?


••Ciao. Allora i LAGS siamo io, Antonio (voce e chitarra), Gianluca (chitarra e cori), Daniele (basso e cori) e Andrew alla batteria o all’evenienza Flavio quando Andrew non c’è; in questo senso, siamo una formazione un po’ aperta come vedi. Il nome in sé, invece, è, tecnicamente, una sorta di sinonimo del glitch, ma in realtà è venuto fuori storpiando il nome del giornalista Legs McNeil, fondatore della fondamentale rivista Punk Magazine: da qui Legs è diventato LAGS.


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Nella vostra musica ci sono molte influenze.
In primo luogo penso a band come i Fugazi,
i Bad Religion e a tutta la scena punk-hardcore americana.
Ma che rapporto avete con l’Hc italiano?
Penso ai Negazione, i Nerorgasmo ma anche
a band più recenti come Cripple Bastards o Skruigners.


••Ognuno di noi ha un rapporto diverso con la musica. Io e Luca, ex cantante e autore di gran parte dei testi dell’album, abbiamo avuto nell’hardcore italiano un forte punto di riferimento e penso alle band che tu hai citato ma anche ad altre come i La Crisi. A dire il vero soprattutto Luca era legato a quella scena, io ascolto molto punk italiano e penso ai Kina, agli Anti You e via dicendo. Per una questione di suoni, però, pur avendo, come detto, un ottimo rapporto con la roba nostrana, abbiamo un approccio prettamente esterofilo con la musica, ci sentiamo, insomma, più vicini, per quello che facciamo, a realtà straniere.



Leggendo il comunicato,
mi son accorto che nei vostri testi c’è molta politica.
Quanto conta, per voi, veicolare un certo tipo di messaggio sociale, politico ecc.?
Siete idealisti?


••È vero. I nostri testi son sociali e politici ma rimangono aleatori. Non spieghiamo mai di cosa parliamo effettivamente, il tema è velato. Parliamo di argomenti che ci toccano da vicino ma cerchiamo di farli nostri nel modo meno diretto possibile; non ci piacciono slogan o manifesti, vogliamo creare immagini che aiutino a riflettere andando oltre la canzone stessa. La musica deve essere un punto di inizio per una riflessione matura non un punto di arrivo. È bene che la gente vada oltre la canzone stessa, si costruisca una sua idea, anche diversa dalla nostra. Non credo che un nostro brano possa rappresentare il cambiamento, ma sicuramente può stimolare un confronto, una discussione, quello sì.


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Ci sono anche riferimenti a Bulgakov, Chomsky ecc…
e con la letteratura, quindi, che rapporto avete?


••Come per la musica, ognuno ha un rapporto personale con le altre forme d’arte; io, per esempio, sono appassionato di saggistica, mi interesso meno alla narrativa. Luca ama molto la letteratura pura e i romanzi. Insomma, ci piace molto leggere ma non siamo lettori a 360 gradi e non siamo tutti fissati su un certo tipo di letteratura e linguaggio. Siamo molto diversi in questo senso.


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Il disco, come da comunicato, si confronta anche
con temi centrali della società che viviamo: il ruolo controverso della fede,
la disoccupazione, le relazioni fra persone, la paura del futuro ecc.
Quanto, il disco in sé, vi ha aiutato ad esorcizzare temi come questi?


••In realtà il disco non ha esorcizzato i temi di cui parla, ma ha, come dire, scoperchiato i vasi di Pandora. Viviamo in un mondo così dagli anni ’90. Il futuro incerto, la disoccupazione, la distanza e la difficoltà nelle relazioni sono ormai temi vecchi. Eppure abbiamo, anche in questo caso, cercato di far nostri questi temi: pensate ad una band che magari, ogni settimana deve spostarsi per suonare, anche a 700 km di distanza. È normale che i membri avranno difficoltà a coltivare ogni tipo di relazione, per fare un esempio. Il disco, come dicevo, ha quindi aperto i vasi da Pandora, focalizzando certi temi, acuendoli, rendendoli ancora più forti e vividi sul palco.



Come vedete la scena musicale in Italia?


••Mi sento parte di un gruppo di persone, non di una scena. Persone che apprezzo, non tutte facenti parte di band che mi vanno a genio musicalmente, ma al di là di apprezzare o meno certe sonorità, ci dev’essere una comune visione di intenti, l’importante è essere autentici, sinceri. Il pop in Italia è come antitetico alle nostre sonorità, ha un indirizzo musicale diverso, altri mercati, eppure c’è, e anzi non siamo in contrasto ma siamo due mondi paralleli. È importante che ognuno porti avanti il suo messaggio nel modo più autentico possibile.


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Quanto conta il palco per una band hardcore?
Raccontateci un aneddoto, avvenuto durante un live, che ricordate.


••Due cose ricorderò dei pochi live che finora ho avuto con i LAGS: un concerto a Roma lo scorso anno, in cui Andrew ha rotto la catena del doppio pedale della batteria perché stava pestando come un animale, e, recentemente, durante un concerto a Napoli, nell’euforia generale, ho letteralmente abbracciato una colonnina senza rendermi conto che ero attaccato, praticamente, al sistema dei cavi elettrici del locale. Il fonico ha cominciato a sbracciarsi, urlandomi di staccarmi… insomma una scena tragicomica, potevo morire.


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Una tua paura ricorrente?


••Ho sempre avuto paura dell’ignoranza, non intesa in senso culturale, ma proprio ignorare i rapporti di causa-effetto, il non capire quello che accade, ciò che si dice, ciò che si fa, il non conoscere i sacrifici di una band, per esempio, ma soprattutto il non saper relazionarsi con le persone. Questo tipo di ignoranza è quella che ti crea più problemi nei contesti sociali.


 Che rapporto avete col web?


••Non posso affatto vedere il web in negativo, il disco è in free download, se la gente vuole lo compra ai live. Negli ultimi dieci anni ho conosciuto band quasi solamente dal web. Il mondo cambia e internet fa parte di questa evoluzione. L’unica cosa che mi dispiace è la mancanza di quel rapporto viscerale che prima si aveva con i dischi e la musica. Prima un disco lo compravi in negozio e lo sentivi per mesi, finché non lo consumavi letteralmente. Sono i dischi che non dimenticherò mai, sono fondamentali. Oggi capita che scarichi un disco di cui ti innamori e dopo due settimane lo abbandoni, dopo tre anni, probabilmente, nemmeno ti ricordi che quell’album esiste. Ciò mi spaventa, perché, per una band, in questo senso, è sempre più difficile rimanere a galla, questo è il lato negativo della medaglia. D’altra parte però internet ha dato la possibilità a tutti di farsi una cultura musicale allucinante; i ragazzini di oggi “ci pisciano in culo” letteralmente, hanno più ascolti di noi, sono più preparati sotto questa veste.



Un’ultima domanda classica: progetti per il futuro?


••Beh, vorremmo suonare per un progetto di beneficenza con un artista rap di Roma che non voglio svelare e poi vorremmo scrivere e registrare il nuovo album entro la fine del prossimo anno; il primo lavoro ha avuto una formazione un po’ rimaneggiata e quindi sarebbe il massimo produrre il nuovo disco con la formazione stabile il prima possibile. Poi vorremmo cercare di suonare all’estero oltre che in Italia. Per quanto riguarda il futuro prossimo, a gennaio siamo a Roma e a febbraio siamo molto contenti di aprire le due uniche date italiane dei Beach Slang, l’11 al Freak Out di Bologna e il 12 al Surfer Joe a Livorno.
– Grazie Antonio. W l’hardcore W i LAGS.
••Ciao, ci sentiamo presto, w l’hc.


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